L'INTERVISTA27 set 2023

Ligabue presenta il nuovo album: “Ecco perché abbiamo bisogno di un noi”

L'artista, ospite dell'IsyBank Music Place Intesa Sanpaolo, ci ha raccontato com'è nato “Dedicato a noi”, il disco appena uscito

Luciano Ligabue ci è passato a trovare all'IsyBank Music Place Intesa Sanpaolo, dove ai microfoni dei nostri conduttori Mauro Marino e Manola Moslehi ha parlato di Dedicato a noi, il suo nuovo disco di inediti. Il rocker di Correggio ha raccontato anche del rapporto con il figlio Lenny, che ha suonato la batteria nelle tracce dell'album, e di altri aneddoti sul suo ultimo progetto.
Fra pochi giorni, Ligabue partirà per l'ennesimo tour della sua carriera: come ci ha svelato, però, a salire sul palco non ci si fa mai l'abitudine. Intanto, il pubblico presente all'intervista ha cantato a squarciagola i nuovi inediti dell'artista. Nella tournée, in cui ci sarà "una scaletta diversa per ogni concerto", sicuramente accadrà lo stesso.

Intervista a Ligabue (27/09/2023)

Ecco il testo dell'intervista:
“Dedicato a noi” è il tuo nuovo album. Volevo chiederti: Questi “noi” chi sono?
Questo album è nato in un momento in cui stavo facendo i conti su come siamo messi. Siccome di inizi di decenni ne ho visti qualcuno, ovvero sei: questo, a conti fatti è il più terribile. Ci sono la pandemia, l'inflazione, la crisi climatica, la guerra in Ucraina, i ragazzi della Generazione Zeta che vanno dallo psicologo, i femminicidi, gli stupri. Questa situazione ci fa sentire tutti più spaventati e isolati, perché la paura rende soli. Per questo, abbiamo bisogno di un noi. Il primo “noi” è quello della coppia (“La metà della mela”), il “noi” della famiglia, non è un caso che Lenny, mio figlio, abbia suonato la batteria in tutte le canzoni del disco. Poi c'è il “noi” che è proprio questo (riferendosi al pubblico presente): io non riesco a non pensare ai tanti “noi” che ho vissuto sul palco. Ogni volta che sono lì sopra, per due o tre ore condividiamo tutti lo stesso stato d'animo, la stessa sensazione e credo anche i principi e i valori che metto nelle mie canzoni. Poi c'è il “noi” più idealizzato che avevo già raccontato in “Non è tempo per noi”, quelli che si sentono sempre “fuori moda, fuori posto, insomma sempre fuori dai”. Sono quelli che decidono che non vogliono subire un'idea del mondo, ma che insieme possono proteggere un'idea del mondo e portarla avanti.
Lenny, tuo figlio, ha suonato la batteria nell'album. Com'è stato lavorare con lui?
Quando io faccio gli album con Fabrizio Barbacci, il lavoro sulla batteria lo delego sempre a lui perché è molto minuzioso, al limite del rompiballe. L'ho visto torturare molti batteristi. A prima vista, ero solo contento che lui coinvolgesse Lenny, a conferma di quanto è bravo: poi, ho pensato alle torture che avrebbe potuto subire. In realtà, questo è orgoglio di papà, ho visto che Lenny ha dato a Fabrizio Barbacci ciò che pretendeva molto velocemente, più di altri batteristi in passato. Siamo stati molto in studio e io raccontavo cosa c'era dietro a ogni scelta di parole, perché volevo che tutti fossero coinvolti nel progetto. Quindi, mi sono raccontato molto artisticamente: Lenny mi ha conosciuto artisticamente come non mai e quindi anche personalmente come non mai.
Oggi è il compleanno di Francesco Totti, che tu citi in “Una canzone senza tempo”. Come mai ha scelto di scrivere una canzone in omaggio alla città di Roma?
“Una canzone senza tempo” é la storia di una coppia che rivive un'esperienza fatta a Roma e che pensa che la loro relazione possa essere senza tempo. Roma è la Città Eterna e si perde la sensazione del passare del tempo, entrando in una dimensione senza tempo: quindi mi sembrava il contesto ideale. Io, poi, amo Roma, anche se vedo i disagi in cui versa. L'incipit di Totti fa capire immediatamente dove siamo: una trattoria romana. Però, non immaginate quanti attacchi ho ricevuto dai laziali…
Totti ha detto che ti avrebbe dedicato un gol se fosse ancora in attività...
Purché non fosse contro l'Inter, sarebbero andati bene tutti.
Nell'album ci sono undici canzoni: però ne hai scritte molte di più. Come le hai scelte?
Da una trentina di canzoni, queste undici si sono fatte larghe da sole per il contenuto e perché insieme portavano avanti quel concetto di cui ho già parlato: quella chiamata a un “noi”, capire che abbiamo bisogno dell'altro e che con l'altro possiamo fare qualcosa.
Nel testo di “Chissà se Dio si sente da solo” ritrovo Dio, tanti anni dopo “Hai un momento, Dio?”, del 1995. Come lo hai descritto?
Ho provato a raffigurarlo secondo la religione cristiana, quindi intento a guardarci. E credo che non gli stiamo dando un grande spettacolo di noi stessi. Allora mi sono chiesto: chissà se si sente solo, chissà se gli manchiamo. È una domanda un po' inquietante, ma sicuramente meno irriverente di quella di “Hai un momento Dio?”, in cui gli chiedevo di presentarsi con un bel gilet per fare due chiacchiere in un bar.
“Riderai” è l'ultima canzone dell'album. L'hai messa in questa posizione per un senso di ottimismo?
Non si può ridere di tutto, ma ci sono anche tante preoccupazioni quotidiane che nel 95% dei casi non si avverano. “Sappi che di questa cosa, fra un paio di mesi, riderai!” me lo sono sempre sentito dire. Dall'alto dei miei sei inizi di decenni che ho visto, mi sono sentito di dire questa frase: sappiate che riderete delle cose di cui adesso vi crucciate.
La copertina dell'album è davvero stupenda...
Ogni volta che si tratta di fare una copertina mi rivolgo al mio storico collaboratore Paolo De Francesco, che è bravissimo. Gli faccio ascoltare l'album e gli spiego tutto sulle intenzioni che ho messo nelle canzoni. Poi, per me, ci sono due tipi di copertine: quelle con il simbolo con fondo piatto o quelle con “tanta roba”. Per “Dedicato a noi”, gli ho spiegato che serviva “tanta roba”. Lui, poi, è tornato con questo: al centro, ha scelto di mettere un cuore. Poi, ognuno è libero di interpretare tutto il resto. Al centro delle tante immagini e del caos, però, si vede il cuore. E non è causale.
A luglio, durante le date negli stadi di Milano e Roma, hai presentato in anteprima “Così come sei”?, brano che apre “Dedicato a noi”. Perché lo hai fatto?
Speravo di far piacere ai fan che conoscono la storia di “Salviamoci la pelle!!!!”, canzone del mio secondo album “Lambrusco coltelli rose & pop corn” (1991). In questo brano, avevo raccontato di una coppia di ventenni che scappa da famiglie disfunzionali. Io volevo sapere come era andata a finire dopo trent'anni. La storia, in realtà, non è andata a finire e loro continuano a salvarsi la pelle e sono superfighi.
In “Dedicato a noi”, c'è anche una canzone che hai scritto a Parigi quando hai contratto il covid: “Quello che basta”. Come è stato il processo di scrittura di questo brano?
Se tu stai una settimana in una brutta camera d'albergo, al freddo e con solo una stufetta, le ore non mi passavano più. Il buon Maioli (manager di Ligabue) ha recuperato una chitarra da un mercatino che ha trovato lì e quindi mi sono lanciato nella scrittura del brano. È la traccia numero sette, un po' l'occhio del ciclone del disco: una specie di situazione zen, in cui non succede niente. Uno sta bene in ogni momento della giornata. Riuscire ad apprezzare meglio i momenti che stiamo vivendo, senza pensare sempre a quello che c'è da fare: ho voluto scrivere questo.
Il “7” è un numero a cui sei molto legato...
Il “7”, ogni tanto, è stato un pretesto per fare cose. Le mie iniziali sono due “L” che se rovesci sono due 7. Le lettere del mio nome e cognome sono sette. Il mio primo concerto è stato nel 1987, il mio primo stadio nel 1997. Nel tempo, mi sono reso conto che la canzone più famosa era alla numero 7 di “Buon compleanno Elvis”, ovvero “Certe notti”. Per una sorta di rispetto a questo numero, la traccia numero 7 deve avere sempre un perché. Dal 2000 in poi, fate caso alla traccia numero sette dei miei album, perchè dice sempre qualcosa.
Nell'album, c'è anche il brano “La parola “amore””. Che significato ha per te questa parola?
È una parola che è stata fin troppo usata e tante volte male. Spesso la si usa solo per parlare di una relazione. Spesso per me, invece, è una condizione: essere in amore, quindi più aperto al mondo. In questo stato si ha più fiducia verso la realtà. In questo brano, racconto di due persone che si rincontrano dopo tanti anni e dopo una relazione tra loro finita. Sono molto complici, ma non vogliono usare la parola “amore” perché complicherebbero le cose.
A cosa ti sei ispirato?
Tendo sempre a raccontare di cose che ho vissuto o ho visto vivere: mi muovo in quell'orticello lì.
A luglio hai fatto le ennesime date negli stadi della tua carriera e adesso partirai con un nuovo tour. Ci si fa l'abitudine?
No, non ci si abitua mai. Poi, io parto in tour dopo tanti anni. L'ultimo vero tour l'ho fatto prima della pandemia. Per me, cantare dal vivo resta il motore di tutto. Quando io sono in studio a fare un album non faccio altro che pensare a come sarà un'eventuale canzone quando la farò davanti al pubblico. Questo motore continua sempre a girare e c'è sempre l'aspettativa di nuovi concerti. In questo nuovo tour non farò mai una scaletta uguale all'altra: semplicemente perché vorrei che l'esperienza del concerto sia unica per tutti. Ogni serata sarà irripetibile e in rete non potrete andare a leggere la scaletta. Io vorrei che riscopriste il gusto della sorpresa!
In un post hai evidenziato l'importanza di fare degli album e non solo dei singoli…
In realtà, fin da piccolo io sono un grande fan della canzone: in passato non esisteva il concetto di album come esiste ora. Adesso, però, io non riesco a non fare album, che permette di affrontare più temi e avere un filo conduttore che li leghi per riuscire a trasmettere un concetto suggerito dalle varie canzoni. In un'epoca di streaming, tutto è veloce e l'album può sembrare una cosa un po' analogica o un po' vecchia maniera.
Il tuo nuovo tour partirà dall'Arena di Verona, di cui sei un vero e proprio veterano. Tanti artisti hanno detto che l'atmosfera che si respira lì è unica, confermi?
La sensazione è incredibile. Quando ero ragazzo, accompagnai la mia ragazza d'allora a vedere un concerto di Tina Turner. Non ero interessato allo show, ma contavo molto sulla gratitudine post concerto da parte della mia ragazza... Arriviamo lì, il concerto mi piacque tantissimo e rimasi di sasso. Per tutto il tempo pensai: “Che fortuna questa che suona in questo posto!”. L'Arena di Verona è il luogo dove mi sono esibito più volte in carriera: siamo vicini alle 40 volte. Per questo, dico sempre di essere molto fortunato.