Parliamo della pandemia, ed è proprio da qui che Pau, dopo aver cantato 4 brani tratti dal nuovo progetto, parte per raccontare la genesi di “Canzoni per anni spietati”: “In quel periodo, non riuscivamo più a fare il nostro lavoro, a scrivere e trovare canzoni”. Ci è voluto tempo, ma poi lo sblocco è arrivato naturalmente, sempre attraverso l’amore per la musica: “Studiando in modo approfondito la musica folk americana, siamo riusciti a mettere in fila le cose. I pezzi sono nati uno dietro l’altro, a pochi giorni di distanza, come se fossero già stati scritti da un’altra entità”. Il blocco creativo, vissuto proprio nel pieno del lockdown, ha aperto gli occhi anche a Drigo: “Non avevamo più una visione di futuro, è calato il sipario”, racconta. “Doveva essere un momento di grande presa di coscienza umana, e invece ne siamo usciti divisi. È stato illuminante capire che, per noi che siamo creativi, serve avere una visione di futuro. Ma ne abbiamo fatto tesoro per assistere ed elaborare tutto”.
Pau definisce il risultato “un equilibro perfetto” in cui, rispetto al passato, è stato anche molto più spontaneo adattare la lingua italiana a suoni che arrivano da mondi lontani e poi rielaborati in pieno stile Negrita. E pensare che, dopo anni di silenzio, l’idea era quella di realizzare “solo” pochi singoli: “Poi, siamo arrivati a un EP di 6 pezzi e, alla fine, siamo arrivati a un album di 9 tracce”, considerando la cover di Francesco De Gregori, il “perfetto anello di chiusura”. La traccia numero 8, infatti, è “Viva l’Italia”, una rilettura con cui la band collega il passato a un presente ancora pieno di tensioni sociali e culturali. La tracklist, che si apre con la potente “Lettera ai Padroni della Terra” intitolata “Nel blu”, prosegue con il singolo apripista “Noi siamo gli altri” e con un omaggio a Bob Dylan, fino a “Dov’è che abbiamo sbagliato”, ultima canzone a nascere proprio da una domanda che Pau si è posto prima di chiudere il progetto: “Mi sono chiesto dove abbiamo fallito. La nostra generazione ha ereditato un grande mondo, e non siamo stati capaci di seguire la stessa direzione. Se questo è il frutto della nostra generazione, abbiamo sbagliato. Eppure non bisogna smettere di aver fiducia nel futuro”.
Il disco genera una riflessione che, canzone dopo canzone, ha un obiettivo preciso: “Emozionare l’ascoltatore, in un mondo in cui l’emozione è considerata qualcosa da pagare”, spiega ancora il leader del gruppo. “La società è sempre più disumanizzata. Noi, quando saliamo sul palco, vogliamo unire le persone”. E i Negrita riescono a farlo ancora alla “vecchia maniera”, regalando un’anticipazione dal vivo in acustico, senza basi, e proponendo ancora canzoni da 6 minuti, ormai praticamente estinte, senza rinunciare a lunghi assoli: “È un disco analogico. Per esprimere certi concetti, servono certi attrezzi”.
È con questo spirito che i Negrita si presenteranno, tra poche settimane, nei club, il loro habitat naturale: “Ripartiamo a suonare dal luogo che preferiamo, le pareti dei club restituiscono una pressione sonora che ha una marcia in più. Partiremo l’8 aprile a Roma e finiremo il 2 maggio. Poi vedremo cosa succederà… Al di là del tour, siamo felici di raccontarvi il nostro ultimo anno, un anno di speranze”. Lo abbiamo provato a RADIO ITALIA LIVE e siamo certi che ci sarà da divertirsi. D’altronde, lo avevano già spiegato i Negrita, in quella lettera in cui ribadivano che “La musica è libertà”, per presentare l’intento e la potenza di “Canzoni per anni spietati”: “Perché la musica non è roba da salotti, è vita vera e non si consuma. Si vive. E noi la vogliamo viva”.