Benvenuto in Sicilia!
“Ogni volta è un sogno, anche se fa un caldo incredibile!”
Nel 2010, aprivi gli Aerosmith con la Fame di Camilla. Tu hai fatto la gavetta vera, hai fatto anche il backliner.
“Sì, montavo gli strumenti sui palchi…”
Quando vedi un artista che, invece, ottiene grande successo in poco tempo, cosa pensi?
“Penso che avrei voluto farlo anch’io! Ognuno fa la sua strada… Quando ho iniziato io, non c’erano tutte queste opportunità, oggi internet aiuta. All’epoca, andavi in giro a fare i concerti, era così che portavi la musica alle persone.”
La tua generazione ha avuto tenacia a insistere. Adesso, si guarda tanto alla viralità di un pezzo...
“Io non ho ancora capito come si fa a diventare virale. Se qualcuno ha una formula, ce la dia!”
Pensi che se avessi fatto un talent da giovane, lo avresti vinto?
“Mai! Non mi avrebbero nemmeno preso! Non so come sarebbe andata… Io a 20 anni, dopo una settimana, sarei potuto impazzire. A 20 anni ero molto più sregolato, amavo andare in giro a fare concerti. Non c’era ancora la percezione dei talent come c’è oggi. Ora magari riesci a capire più facilmente le opportunità che ti dà un talent. Fino a 10 anni fa, per un giovane, c’erano più spazi e possibilità di mostrare il talento. Io penso, comunque, che un giovane che ha delle cose da dire abbia voglia di dirle davanti alla gente, quindi andrebbe volentieri nei locali, in qualsiasi epoca! A Bari, allora, c’erano già 12-15 posti in cui suonare, pensa in altre città… Chi inizia, però, non può puntare subito su un live club, ma dovrebbe partire da luoghi che fanno poche centinaia di spettatori e che oggi sono quasi scomparsi. Con La Fame di Camilla, siamo andati in giro, abbiamo fatto contest assurdi, in cui venivamo addirittura votati con delle caramelle. Ma l’importante era suonare e farsi vedere! Era così che poi le persone si attaccavano, la tua musica si attaccava a loro. Oggi questa possibilità viene sempre meno, e lo scouting viene demandato alla tv o ai social. Come fa un ragazzo di 18 anni a dire: ‘Io esisto?’.”
Anche la pandemia non ha aiutato…
“Sì, ma ogni epoca ha delle falle, rispetto a cui vengono trovate le soluzioni. Io avevo il mio automezzo, e le possibilità non mancavano. Chiamavi per suonare in un locale solo per farti vedere, senza pensare a cosa metterti in tasca. Da marzo 2010 a giugno 2011, con La Fame di Camilla, abbiamo fatto 176 concerti. In queto periodo storico, non è più possibile, non ci sono gli spazi.”
Il video del tuo ultimo singolo, “Ferma gli orologi è stato girato nella tenuta di Al Bano…
“Sì, Al Bano c’era, È veramente un posto incredibile, bellissimo. Ricordo che, quando siamo andati in cucina, c’era il camino acceso. Lui è sempre presente, è un’entità che ogni tanto si materializza.”
Parliamo anche del tuo ultimo romanzo…
“È uscito a maggio, sono molto contento de ‘Le camelie invernali’. È molto diverso dal primo romanzo, è una storia più breve. Il primo erano 530 pagine, questo invece ne ha appena 200. Ma perché ha una storia più cupa, infatti ho fatto più fatica a scriverlo.”
Non è scontato che, sapendo scrivere canzoni, si riesca a scrivere anche un libro.
“La prima volta che mi ci son messo, è stato un tentativo, non avevo nessun accordo editoriale. Sentivo l’impulso, ma non sapevo se sarei riuscito a dargli una vita in prosa. Perché scrivendo canzoni, impari la sintesi di un’emozione, nemmeno di una storia. Dopo le prime 15 pagine, mi son detto: ‘E quindi?’. Dopo, sblocchi delle cose e ti rendi conto che non puoi usare il linguaggio della musica, ma la musicalità sì. Il modo in cui metti insieme le parole e le frasi deve avere una certa musicalità. Io non riesco a ragionare in altro modo. Qualunque cosa scriva in un romanzo, a me sembra che faccia parte di una lunghissima canzone.”
Spesso hai parlato del Mediterraneo, ci hai intitolato anche una canzone. In questo periodo storico, è difficile parlarne. Da chi dobbiamo aspettarci che venga affrontato questo tema?
“Io penso che siano sempre i più giovani ad avere la possibilità di esplorare, senza paura di perdere qualcosa. Chi ha una posizione più consolidata potrebbe temere di scivolare e di esporsi, su certi temi ci si ritrae. In ‘Mediterraneo’, ho scritto il punto di vista da due parti diverse, quel testo ha una doppia chiave di lettura: racconta di una coppia che si trova al di qua, e una che si trova al di là del mare. È come se si guardassero, e per loro il Mediterraneo ha un significato diverso. La parola ‘leggeri’ ritorna e racconta i corpi in mare. Non l’ho mai detto, ma ho scritto questa canzone di notte, ho iniziato circa alle 21 e ho finito attorno alle 4.30. Il pezzo era finito e mi piaceva, ho cambiato solo alcune cose riascoltandolo il mattino dopo. Poi ho acceso la tv e, in quel momento, stavano raccontando del naufragio di Cutro che era appena avvenuto. E io, proprio in quella notte, avevo scritto ‘Mediterraneo’. La canzone comunque è ballabile, perché tutto quello accade nel Mediterraneo è una sorta di danza. Ma la coincidenza di quella notte è stata veramente incredibile. Oggi, forse, questa canzone la si può ascoltare con un’altra chiave di lettura.”